Dal nostro inviato - Nasce qui a Flamanville, sulle coste della Normandia, uno dei due prototipi (l'altro è in Finlandia) del rinascimento nucleare italiano. Si chiama Epr, che sta per European pressurized reactor. Edf ed Enel, che in Francia ha il 12,5% degli Epr e da noi avrà comunque la guida di una società al 50%, lavorano duro. Ed ecco che dal cantiere francese, dove fanno affari e accumulano esperienza 32 imprese italiane, emergono anche i dettagli del nostro ritorno all'energia atomica.
Enel e Edf costruiranno, aprendo il consorzio ad altre partecipazioni di minoranza, quattro reattori da 1.600 megawatt in tre siti. Uno - si mormora - al Nord, uno al Centro (che potrebbe ospitare due reattori, se davvero si consoliderà l'ipotesi della "rivitalizzazione" nucleare della vecchia centrale policombustibile di Montalto di Castro) e uno al Sud. Serviranno a realizzare la metà del piano di ritorno al nucleare con il quale il governo Berlusconi promette di coprire il prima possibile almeno un quarto del fabbisogno elettrico italiano.
Costo: 4,5 miliardi di euro e reattore, 18 miliardi in totale, più del doppio di ciò che si pensa di spendere per il ponte di Messina. Tempi: prima pietra del primo reattore a metà 2015. Gli altri seguiranno «a passi di diciotto mesi». Costo stimato dell'energia tra i 55 e i 60 euro a megawattora. Allineato, se tempi e investimenti verranno rispettati, a quello di una buona centrale a carbone, il 20% in meno rispetto a quello di una centrale a turbogas di ultima generazione.
Enel e Edf, artefici del primo consorzio che dovrebbe riaprire le danze nucleari italiane, ce la stanno mettendo tutta per convincere che si tratta di un buon affare. «A Flamanville l'esperienza è fatta, in Italia andrà tutto liscio» dicono i dirigenti Enel riferendosi agli intoppi collezionati dall'Epr: i difetti del cemento con il momentaneo stop disposto dall'agenzia per la sicurezza nucleare francese, i contenziosi in Finlandia tra costruttori e consorzio operativo sui ritardi dei lavori e sui costi che crescono, mettendo in discussione sia i bilanci delle imprese che le stime di convenienza dell'atomo elettrico.
Funzionerà, qui da noi? L'Enel ci crede ma, con realismo, non nasconde le difficoltà. La differenziazione delle fonti, per unanime opinione, è essenziale per il paese europeo più esposto ai capricci del greggio e soprattutto del gas. Per non parlare dei tagli alla CO2 garantiti dell'atomo. E anche se il costo stimato del kilowatt nucleare dovesse avvicinarsi a quello del ciclo combinato di gas l'operazione sarebbe comunque conveniente. Anche perché i dispositivi di sicurezza a quadrupla ridondanza della tecnologia Epr sembrano convincere anche i più timorosi. Imbarazza un po', semmai, la tempistica tracciata dall'Enel calcolando gli adempimenti burocratico-normativi previsti. Scajola promette la «prima pietra» dell'atomo elettrico entro fine legislatura, nel 2013. Nella tabella di marcia Enel si intravede un consistente slittamento: nel 2013 solo le attività preliminari, con la prima colata di calcestruzzo per il reattore solo nel 2015. Non si potrà fare prima, visto l'ingorgo delle procedure burocratiche che affidano anche l'atto propedeutico, ovvero al definizione dei criteri per piazzare i siti, al rimpallo tra il Governo e la nuova agenzia per la sicurezza, ancora lontana dal nascere. Il primo kilowatt nucleare? Nel 2020. Se tutto andrà davvero liscio.

 

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